The other woman

La casa a Devil's Pocket è un cantiere aperto, nel vivo di una ristrutturazione che, ad essere del tutto sinceri, sarebbe dovuta essere evitata in favore di una demolizione. Si sono accaniti sul corpo esausto di quella struttura ridandole lentamente vita, a partire dalla vernice secca che hanno scorticato dalla facciata e sostituito con un azzurro pastello, un faro nel grigiore di quella strada. Austin si avvicina alla casa con un passo veloce, chiuso in una giacca di jeans, il capo chino, scrivendo ad Iphigenia del suo imminente arrivo. Continua a rileggere lo scambio di messaggi con Noah che si fermano prima della chiamata che gli ha seccato la gola. Arrivato verso la fine di Catharine Street attraversa il vialetto con fare più concitato, bussando sul legno nuovo della porta, che è stata la prima cosa che hanno sostituito. Aspetta che lei gli apra per gettarlesi addosso da subito in un abbraccio caldo e bisognoso in cui indugia svariati secondi. Piange per un minuto sulla soglia di casa, in preda ad una confusione che non vuole spiegarsi. Quando si stacca da lei le lacrime sono già secche sugli zigomi caldi, tira su col naso scuotendo il capo. "I'm a mess" ammette con una risata amara, non riuscendo ancora a leggerle addosso una preoccupazione antecedente al suo arrivo, seguendola all'interno quando gli fa cenno di entrare con un rapido "Entra, dai". L'interno è segnato dalle cicatrici dei muri abbattuti in un pomeriggio di puro sfogo liberatorio e dai lavori sul sistema elettrico in quelle parti della casa dove le pareti sono già state riassestate. Austin si guarda intorno con fare incuriosito alla ricerche di modifiche superficiali e delle ultime riparazioni ed accortezze, per poi puntare la cucina al suono di "Che gusti di gelato abbiamo?". La serata inizia con la leggerezza di uno sleep over tra adolescenti, il tempo di scivolare nei pantaloni di un pigiama che ha lasciato lì quasi aspettasse questa eventualità. Effie getta frequenti e rapide occhiate al cellulare, in attesa di qualcosa, ma non dà mai l'impressione di dargli meno della sua totale attenzione. Ascolta le parole che gli scivolano di bocca con rapidità ogni volta che conficca il cucchiaio nel blocco ghiacciato, mentre si fa più concitato, parlando della visita di Charlotte quella stessa mattina, di come abbia cercato di convincerlo che non ci sia davvero spazio per lui nella vita di Noah, ripetendogli quello sapeva già (ma contro cui continua ad opporsi testardamente), quasi potesse leggere le sue paure nel fondo dei suoi occhi come in quello di una tazza di caffè. Si blocca guardandola con uno sguardo apprensivo ed un tono grave quando le confessa di colpo quello che ha pesato sul suo petto per tutta la giornata.

"Ha detto che è incinta. Forse è vero, forse spara cazzate. Non lo so. Non so che fare."

La risposta di Iphigenia è un effluvio di parole che ha il solo apparente scopo di sopraffarlo.

"Whaaaaat?! Non ci credo!... Vuoi che ci parli io con Noah? O con la pazza? Che poi in fondo pure se è incinta che problema c’è? Noah vuole te e si vede, e un altro marmocchio non cambia le cose, le famiglie strane esistono E INSOMMA GUARDA NOI e poi quel pazzo di un tedesco mi pare sia abbastanza intransigente per tutti!"

È andata avanti così per diversi minuti, mentre Austin si è gettato le dita tra i capelli, ricadendo con la schiena contro il letto, piegando il capo di lato per cercare di nuovo il suo volto in quell'occhiata storta dal basso verso l'alto, in attesa di una soluzione miracolosa.

"I don't wanna be the other one."

È una risoluzione determinata quanto afflitta da una consapevolezza schiacciante.

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Iphigenia dorme nel suo letto, sfatta dalla metà della vaschetta di gelato da un chilo che è stata sua responsabilità trangugiare in quella serata che ha avuto, per qualche ora, il potere di rigettarlo in una spensieratezza che gli mancava da tempo. Da prima di presentarsi al porto per incontrare Elysium, Retribution e Longshot, quando le maschere erano ancora un’immagine idolatrata come gli eroi raccolti sulle figurine, prima che diventassero il volto di una giustizia con cui ancora non si raccapezza. Quando l’Oz era ancora un posto in cui sentirsi al sicuro e non un posto da tenere al sicuro. Prima che arrivassero i fantasmi del passato di Noah a richiamare i suoi in una danza macabra. Il volto di Ezra è quello di tutti gli uomini che lo hanno costretto a lottare per l’attenzione di sua madre, per l’unica cosa che ti dicono sia scontata, lasciandolo sempre ad accontentarsi di un amaro secondo posto. È un’associazione troppo ovvia per essergli chiara, lo sa solo una parte di lui con cui non parla. È sdraiato con il volto ad una spanna da quello di Iphigenia, offrendogli lo strano spettacolo di guardare qualcuno dormire, qualcosa che rappresenta una novità vivida e che, come tutte le cose inusuali, gli inietta un interesse morboso. Scosta una ciocca dei suoi capelli mori per guardarla in viso, con la paura e la tentazione di svegliarla. Ha ancora appiccicata ad uno zigomo una stellina coperta di glitter, come quelle con cui hanno censurato le nudità di una rivista dedicata ad un cestino che lasceranno il giorno dopo al Philadelphia General Hospital. Scivola sul materasso con movimenti lenti e cauti per spostarsi sull’altro lato del letto ed incastrarsi alle sue spalle, chiudendola in un abbraccio che condivide con lei le vampate di calore che gli si intrecciano nei muscoli, per una volta percependo il bisogno di essere il bastione di difesa contro gli incubi notturni altrui.

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But the other woman will always cry herself to sleep
The other woman will never have his love to keep
And as the years go by the other woman will spend her life alone




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